Vittime del panico da palcoscenico: da Daniel Day-Lewis a Fiorello. Fughe e soluzioni
16 Settembre 2015“Inside Out” e la vittoriosa sconfitta – Il Post
21 Settembre 2015Moltissimo dell’immaginario contemporaneo di provenienza anglosassone, (ma non solo, questa cosa è più antica) pensa che una persona sola (a volte aiutato da una o due persone, al massimo) possa “salvare il mondo”. Siamo così abituati a vedere rappresentati nei film, nei fumetti, nei prodotti di massa, persone singole, eletti, talentuosi straordinari oppure sfigati fortunati, impegnati a salvare il mondo da soli, che non vediamo più l’assurdità della cosa. La personalizzazione dei processi vitali, l’attribuire ad una persona poteri, cause, effetti fa parte del nostro modo di raccontare ciò che accade. Questa visione permea così profondamente il nostro modo di pensare da far dire al prof. Pfeffer, in The ambiguity of Leadership, già nel 1977, che l’importanza attribuita al leader è un’assunzione più che un fatto. Le persone hanno sviluppato una visione romantica dell’eroe e credono che questi sia molto più efficace di quanto non lo sia effettivamente.Ancora, in un articolo del 1982, il prof. Arthur Jago, docente di Management all’Università di Houston, ha scritto che nonostante tutti suoi studi non era in grado di dire quale fosse la differenza tra leader e non leader, tra leader efficaci e leader non efficaci. Il che, anche a non prenderlo alla lettera, dà da pensare. Forse bisognerebbe guardare in modo diverso?
Per chi vuole approfondire si veda Christian Monö, Beyond the leadership myth: discover the power of collaborationship, edit by collaborationship.se. Si trova su Amazon.