Comprendersi
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25 Luglio 2018Westworld, nella sua complessa trama, credo si ponga anche una domanda, come già Humans, altra serie tv con protagonisti dei robot-umani: cos’è “umano”?
E’ una domanda che m’interessa assai e per la quale non ho una risposta precisa, anche se diverse idee. Ecco, senza scomodare tanti scienziati (da Maturana a Dennet) una risposta molto semplice mi è arrivata vedendo questa serie.
Mentre in Humans la risposta era, tra le altre, quella di essere capace di provare emozioni e in particolare di amare, di sentire qualcosa per qualcuno (il che poi sarebbe discutibile se è ciò che i rende umani, ma questo è un altro discorso), in Westworld la cosa è diversa e quasi rovesciata.
In fondo, la domanda da farsi sarebbe in che modo quei robot sono simili a noi? Cosa hanno di così umano? A parte le fattezze, la prima cosa che salta agli occhi è la ripetitività. Quei robot sono simili a noi, o meglio, noi siamo come quei robot, perché siamo esseri ripetitivi, ripetitivi fino alla noia, nonostante sia evidente che ciò che ripetiamo non ci serve, ci fa del male, è inutile, dannoso per noi e gli altri, ma noi continuiamo a ripetere. Come, appunto, quei robot nel parco.
E così anche le persone che sono lì, nel parco. “Westworld, dove tutto è concesso” si dice. Ma alla fine cosa fanno le persone di questa libertà? Niente di diverso. Le stesse cose di sempre: violenza, dolore. Ripetitivamente. Meccanico.
Ci sarebbe da aggiungere: Westworld, dove tutto è concesso, ma tanto voi rifarete sempre le stesse cose. Non inventerete niente che abbia una parvenza diversa da ciò che siete stati educati a pensare come diverso che è poi diverso dal buon gusto borghese: penserete a violenza, morte, sesso, dolore. Supererete i limiti, sempre dentro i limiti.
Quando quei robot iniziano a sembrare più umani di tanti umani che non fanno altro che ripetere le stesse cose ogni giorno? In diversi momenti, ma a me è rimasto impresso uno in particolare, nell’episodio che forse ho apprezzato di più di tutta la seconda serie, l’ottavo, quando Akecheta, che sta compiendo per l’ennesima volta lo stesso omicidio, si ferma, alza la testa, lascia andare l’uomo che sta uccidendo (e che verrà ucciso da un altro, il suo destino era quello: come si vede si ripete anche la parte della vittima) e guarda verso il bosco, ma in realtà dentro di sé: ricorda e domanda.
Ricorda che lo sta facendo per l’ennesima volta. E si ferma, non vuole più ripetere, vuole capire: per questo si domanda: chi è, da dove viene, cosa sta succedendo attorno a lui. E’ la forma che prende la coscienza, la presa di coscienza.
L’essere umano è uno che si ferma, alza la testa, cerca di capire ponendosi delle domande e ricorda. Quando riesce, smette di ripetere ciò che gli hanno insegnato a pensare, sognare, aspirare, desiderare, quando era inconsapevole, inerme e ora non fa altro che ripeterlo, pensando di essere originale, spontaneo, se stesso.
Ma come mostra la serie, diventare se stessi è un percorso lungo e a Westworld è appena iniziato.