Da C’era una volta il west a Sense 8, il mondo è cambiato…
20 Marzo 2023La fine del mito del cervello maschile e femminile, di Valeria Minaldi
1 Luglio 2023Inizio con una considerazione linguistica: in principio, nella lingua greca, dire e ascoltare erano insieme nel verbo leghein. “Porre dinanzi e raccogliere”, questo letteralmente. Leghein individuava nel movimento atavico e ricorrente del raccogliere e del dare lo scambio comunicativo: si prende e si dà. Ad un certo punto la parte legata all’accogliere si perde e leghein e logos, da cui derivano le parole che oggi in italiano finiscono con “logico” ossia sociologico, psicologico… ecc che significano “discorso sulla società”, “discorso sulla psiche”, indicano soltanto il parlare. In italiano , questa concdentrazionesul dire rimane: con “comunicare” s’intende il processo parlare, non quello di ascoltare. L’ascolto non è al centro del processo di comunicazione come lo è l’affermare. L’ascolto oggi viene rimesso al centro della nostra attenzione. Si parla di ascolto più di quanto si facesse anni fa. Anche se i risultati a volte non sono proporzionati. E la cosa non meravigli: l’ascolto è una cosa difficile. Ascoltare infatti significa impegnarsi in attività poco consuete: attenzione a se stessi, al processo di comunicazione, attenzione alle parole, agli stati d’animo, ai bisogni. Sono tutte attività, a pensarci, alle quali non siamo abituati.
“Ascoltare” è “porgere attenzione con l’orecchio”, a stare all’etimologia. La domanda seguente è, va bene, ma cosa significa veramente “ascoltare”? “Ascoltare” significa entrare dentro il discorso e comprendere almeno 3 dimensione del parlare. Quando qualcuno parla, che lo voglia o no, dice molto di più di quanto non sia consapevole. In particolare le tre dimensioni sono:
1. Il contenuto, ciò che sto dicendo, il contenuto, la cosa, l’oggetto, il tema
2. La relazione: cosa provo mentre o rispetto a ciò che sto dicendo
3. Il bisogno: ciò di cui ho bisogno.
Quando ascoltiamo dovremmo tenere presente tre domande:
Cosa mi sta dicendo?
Cosa sta provando?
Di cosa ha bisogno?
Mi fermo solo sui bisogni, la cosa più oscura: di solito le persone hanno bisogni molto simili, ma modi diversi di soddisfarli. Così tutti abbiamo bisogno di sicurezza, riconoscimento, stima, amore, cura… ma ognuno ha modi diversi di chiedere come soddisfarli (anche se la cultura regola anche questo così nessuno è mai solo nella soddisfazione dei propri bisogni, apparteniamo tutti a delle categorie, come sa bene chi fa marketing). Quando comunichiamo di solito il nostro impegno è a soddisfare il nostro bisogno, non a comprendere quello dell’altro. Il problema, spesso, è che i nostri bisogni sono altrettanto oscuri di quelli dell’altro. Perciò il primo passaggio per una comunicazione efficace e per un ascolto efficace dell’altro è ascoltare e comprendere se stessi, in particolare cosa ci diciamo, cosa proviamo quando lo diciamo, che bisogni prioritari abbiamo.
L’ascolto di sé va fatto come se si ascoltasse una persona altra. Tutti noi sentiamo voci dentro. Vero? Comprendere queste voci è fondamentale per dialogare con gli altri. Esistono molti studi su questo argomento come Il dialogo delle voci, di Hal e Sidra Stone, ad esempio, oppure Il sistema familiare interno di Richard Schwartz. Esiste la Comunicazione Non Violenta di Marshall B. Rosenberg applicata a se stessi. Insomma esistono varie risorse che consiglio su quello che considero il dialogo più importante: quello con se stessi. Tutto inizia da lì.
Ricordo che il dialogo con gli altri non è che una propaggine, una continuazione con altri mezzi, del dialogo interiore. Parlando agli altri in genere si sistemano cose dentro di noi.