Factfulness, un approccio più pragmatico alla vita
13 Novembre 2022Come fare le critiche – Il Post
6 Dicembre 2022Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimase silenzioso, riflettendo. Poi soggiunse: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che mi importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.
Il disagio è un segnale. E’ uno dei sistemi che abbiamo per comprendere che dei nostri bisogni non sono soddisfatti. Il disagio è inevitabile e nello stesso tempo è produttivo. Grazie al disagio (o al desiderio di stare meglio) evolviamo, cambiamo, miglioriamo, cresciamo, esploriamo, conosciamo. Il disagio (paura, fastidio, tristezza, insoddisfazione, rabbia…) è una condizione che crea un disequilibrio che mette in moto, produce cambiamenti, genera nuove situazioni.
Così, ogni volta che esprimiamo disagio a noi stessi o agli altri apriamo alla possibilità di un cambiamento che potrebbe generare realtà nuove e migliori. Questo cambiamento – chiaramente – visto dagli altri che non sono a disagio potrebbe essere avvertito sia come qualcosa di inopportuno, pericoloso, spaventoso, ma anche – questo è importante ricordarselo – come innocuo e utile. Spesso l’espressione del disagio spaventa molto di più chi lo prova che chi invece ne è parte.
Molto spesso ho accompagnato persone, e anche me stesso, a far presente dei disagi. Spaventati, prefiguravamo chissà quale reazione, mentre invece ciò che accadeva era che le persone – se non si sentono giudicate, attaccate, rimproverate – spesso collaboravano alla rimozione del disagio.
Per cui esprimere un disagio è sempre sano. Ciò che conta è come.
Innanzitutto , è importante distinguere l’espressione di un disagio dalla espressione di una soluzione del disagio. Spesso le persone non dicono qual è il problema, ma dicono qual è la soluzione ad un problema che loro hanno e che spesso non esprimono nemmeno in modo chiaro. Ad esempio: un conto è dire (espressione corretta):
Signori, avrei bisogno di parlare di un mio disagio che riguarda il nostro gruppo: siete interessati?
(Immaginiamo che siano interessati, come quasi sempre è, anche solo per curiosità)
Bene, il mio disagio è questo: non riesco a coniugare il mio lavoro personale con il lavoro del nostro gruppo (scrivo in modo generico, per capirci, ma qui dovete mettere qualcosa di specifico). Questo mi dispiace. Vorrei lavorare al meglio con voi e vorrei poter fare meglio possibile anche il mio lavoro. Io non credo che le due cose sia incompatibili. Vi va di aiutarmi a pensare come coniugare le due cose?
Qui chi esprime il disagio non porta soluzioni, non accusa nessuno, non rimprovera e si apre alla possibilità di rivedere anche le proprie modalità. Al gruppo chiede aiuto, non impone una soluzione. Ora immaginate un altro modo di porre la questione:
Sentite, io sono proprio stanco di questo modo di fare. Ho sopportato, ora basta. Sono stufo. Non posso adattarmi sempre io. Non riesco a fare alcune cose a cui tengo. Adesso tocca a voi cambiare. Secondo me dovremmo fare così…(e si dice cosa è meglio per sé).
In questa espressione di disagio si esprime rabbia e quando si esprime rabbia spesso si esprime accusa – anche implicitamente- E le persone che si sentono accusate, in genere, sono meno propense a collaborare. Soprattutto quando l’accusa è molto legata ad un punto di vista soggettivo, del tutto sconosciuto agli altri.
Dunque, come esprimere un disagio è estremamente importante. Ecco alcune regole:
- Chiedere permesso, concordare se le persone sono disponibili ad accogliere un disagio. Prepararle le predispone all’ascolto. Non dà per scontato che il mio disagio sia conosciuto, percepito e l’unica priorità.
- Esprimere il proprio disagio come frutto di un proprio modo di (non) vedere le cose, non riuscire a ottenere dei risultati.
- Esprimere il proprio desiderio di coniugare le necessità del gruppo con le proprie.
- Chiedere cosa si potrebbe fare e aprirsi a diverse soluzioni.
- Dopodiché si tratta di provare e cercare la soluzione migliore. A volte richiede del tempo a volte basta poco.
In un gruppo l’espressione del disagio arricchisce il gruppo stesso perché non solo permette di trovare soluzioni organizzative meno banali, ma permette anche di conoscere meglio le persone, i loro bisogni, il loro modo di vedere il mondo, arricchendo tutti. Per cui, fin dall’inizio il gruppo dovrebbe regolare l’espressione del disagio, permetterlo, autorizzarlo, regolarlo nei modi di esprimersi… Ci sarà sempre del disagio, prima o poi, in un gruppo. Le forme organizzative o comunicative che un gruppo sviluppa possono andar bene in un momento ma in un altro no. Un gruppo deve essere sempre pronto a riorganizzarsi in base alle esigenze dei singoli. Perché alla fine un gruppo non è altro che singole persone con bisogni e necessità che devono trovare modi di essere in relazioni migliori possibili. Senza pietre, non c’è arco.