Noi nel linguaggio e la portiera della nazionale – Giulia Siviero
26 Giugno 2019Perché occuparsi di comunicazione? (Parte seconda)
7 Luglio 2019Piangere fa bene. Mi piacerebbe molto disimparare tutte quelle cose che m’impediscono di farlo in modo semplice, pieno, totale. Non ci riesco quasi mai. Almeno sinora. Ma mi sto impegnando, perché il pianto mi venga bene, venga fuori senza impedimenti. Ultimamente, guardando i film o serie tv, me lo concedo molto di più. Mi capita sempre più di frequente e ne sono felice. Non sono ancora riuscito a farlo quando sono sotto stress o succede qualcosa di doloroso.
Così come non è semplice accettare di piangere per me, non lo è per molte persone, uomini e donne. Mi è capitato di raccontare di un caso in cui un imprenditore, amministratore di un’azienda, si è rivolto a me per chiedermi di aiutare una sua collaboratrice a gestire il pianto. “Piange quando va in crisi o è sotto stress oppure succede qualcosa di particolare. E’ una cosa che mi mette molto a disagio, me e i miei colleghi. Puoi dirle qualcosa?”. Io ho detto che non avrei lavorato su di lei, che fa qualcosa di assolutamente normale e sano, ma su di loro. Il problema, ho detto, ce l’avete voi, non lei. Piangere è una delle reazioni più efficienti e più sane per gestire lo stress, perché glielo volete impedire? Volete che non lo faccia davanti a voi perché non siete capaci o forti abbastanza da reggerlo? Glielo si può proporre, ma comunque il problema resta vostro e vi conviene affrontarlo. Forse vi può fare bene.
“Ma come ci si fa a fidare di una che piange in continuazione?”. Appunto, ho risposto, lo vedi che hai bisogno di aiuto tu, non lei? Il pianto non ha nessun rapporto con l’affidabilità. Siete tu e i tuoi colleghi maschi a credere (su che base?) che piangere sia espressione di instabilità mentale e non piangere sia sinonimo di affidabilità e stabilità mentale. Purtroppo non è così, come puoi constatare osservando come tanti uomini, molti dei quali sono classe dirigente, pur non piangendo, siano sia poco affidabili che poco stabili mentalmente. Perciò, ribadisco, possiamo lavorare insieme a riconsiderare il pianto, cos’è, come funziona, le sue funzioni e come considerarlo una risorsa e non un problema. Non era molto convinto. Non l’ho più sentito.
Un giorno ho raccontato questo episodio in un’aula. Alla fine della lezione ho chiesto cosa si portavano a casa. Il tema della lezione era tutt’altro, ma una ragazza, alla fine, mi ha detto: “Mi porto a casa che posso piangere”, e poi ha aggiunto: “Oggi mi sono tolta un peso. Ho sempre pensato di essere sbagliata, perché piango spesso, e tu invece hai detto che fa bene. Oggi finalmente ho capito che posso concedermi di piangere senza sentirmi sbagliata. Grazie!”.
Mi sono commosso, non proprio fino alle lacrime, ma quasi. L’ho detto: ci sto lavorando.