È quindi utile e importante conoscere e individuare i fattori che concorrono alla scrittura di un titolo, e che possono renderlo fuorviante o mendace (vedi questi esempi tra i più grossi e recenti): il titolo di un articolo – che è scritto da persone diverse dagli autori dell’articolo, le quali in teoria ne hanno capacità e competenze – essenzialmente deve ottenere l’attenzione e l’interesse del lettore rimanendo una efficace e fedele sintesi del contenuto dell’articolo o della sua notizia più importante. Ma i tempi faticosi e le depravazioni del giornalismo contemporaneo – in Italia più estesamente che altrove – fanno sì che si investa soprattutto sulla prima cosa – ottenere l’attenzione – affidandola a sensazionalismi, curiosità frivole o terrorismi, trascurando la fedeltà alla notizia principale o ai fatti stessi.
C’è poi un terzo criterio di composizione dei titoli – anche questo molto italiano: altrove ci si diffonde in lunghezze maggiori – che è quasi rassicurante nel suo essere legato a ragioni eterne, concrete, e ineludibili come le leggi della fisica: ed è lo spazio. La gran parte dell’abilità del titolista è far stare la cosa che abbiamo detto nello spazio angusto che ha a disposizione: il risultato – affascinante, se ci pensate – è che la nostra conoscenza di quello che succede nel mondo e intorno a noi finisce per essere determinata dai confini di spazio che il titolista ha a disposizione (in barba a quei teorizzatori della mutazione del linguaggio nata coi tweet e gli sms a lunghezza limitata: il linguaggio della brevità estrema esiste da quando esistono i titoli dei giornali).
È la ragione che spiega molti dei tic del titolismo che leggiamo ogni giorno: l’uso dei virgolettati inventati che permette di titolare con una cosa breve (e “grossa”) anche se non l’ha mai detta nessuno; l’inflazione di termini brevi o sintetici usati solo nell’italiano dei titolisti come “choc”, “killer”, “giallo”, “stop”, “star”, “altolà”, “dietrofront”, “incubo”; l’uso di nomi di battesimo per personaggi famosi; il fantasioso formato dei titoli che iniziano con “se, “e”, “io,“; la preferenza per “web” su “internet”, di “colle” su “Quirinale” e di “ira” su qualunque diversa emozione (dico sempre che la frequenza di “l’ira di Napolitano” si doveva alla lunghezza del suo cognome, e che se controllassimo troveremmo probabilmente che Ciampi abbia beneficiato di una varietà di reazioni assai più ricca).
(L’articolo continua su un caso tratto dai media americani).