Scoprire i propri punti di forza
9 Settembre 2015Chi siamo (come italiani, intendo)?
12 Settembre 2015
Sempre riprendendo i vari contributi del bel libro Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta, a cura di Giulia Cogoli e Vittorio Meloni, Intesa San Paolo, 2011. Provo a sottolineare alcuni aspetti che mi hanno colpito e perché considero così importante investire in formazione su di sé e sulle proprie abilità comunicative.
L’Italia è un paese unico, straordinario. Un paese pieno di risorse, di gente intelligente, capace, produttiva, generosa. Siamo un paese dove tuttavia il buono che c’è non fa massa, non riesce ad avere una sua consistenza ed influenza, forse perché insufficiente, forse perché non strutturato, forse perché comunque all’interno di un tessuto sociale ed economico frammentato e disomogeneo. Siamo un paese in profonda e lunga crisi economica di cui non si vede alcuna risoluzione e che spaventa moltissime persone. Siamo un paese stravolto dai cambiamenti avvenuti negli ultimi 30 anni. Ma il dato più significativo è che siamo un paese in grossa difficoltà culturale. Un terzo della popolazione (47%) viene dichiarato dall’OCSE, “analfabeta funzionale”, il che significa che un terzo degli italiani non sa utilizzare le competenze di base. Non sa risolvere problemi, non sa gestire dati complessi e non comprende esattamente quello che legge. (cfr. p.135, ma vedi anche il link a Wikipedia).
La complessità sociale economica e tecnologica in cui viviamo, invece, richiede nuove competenze che fatichiamo ad acquisire perché relativamente troppo anziani, generalmente poco propensi a metterci in discussione ed imparare nuove cose. Facciamo fatica ad usare i nuovi strumenti tecnologici e a superare le forme di informazione tradizionali largamente insufficienti. Troppo poche persone sono disposte ad andare a scuola anche dopo il dovuto.
Inoltre, e come da sempre, la società italiana appare profondamente divisa. Siamo una società composta da un insieme di minoranze mobili e nessuna sembra in grado di esprimere qualcosa di generale. Non sembra emerga la consapevolezza di interessi comuni. Non si crede nella ribellione e tantomeno nella rivoluzione. Non si crede forse nei cambiamenti tout court. Qui i cambiamenti avvengono senza che siano veramente programmati o voluti. La capacità di leggere le conseguenze delle proprie azioni è scarsissima, per ciò che va oltre il quotidiano. Non ci sono progetti a lungo termine, tantomeno condivisi. Non si lavora più per una idea di progresso.
A questo quadro, si aggiunga una situazione internazionale variegata, in evoluzione, ma in cui è possibile riscontrare alcuni filoni. La trasformazione economica in atto (che i più chiamano “crisi”, ma che non è una crisi) ha bisogno di una guida politica che orienti verso una maggiore attenzione alle persone; la necessità di strutture sovranazionali che contrastino il potere delle multinazionali; la necessità di far evolvere l’Europa verso l’integrazione politica, fiscale, sociale; il cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse terrestri, la redistribuzione del reddito a livello mondiale, la pacificazione e la messa in ordine di certi territori che oggi sono nel caos.
Questo quadro richiede uno sforzo nuovo, una nuova idea di progresso, nuove soluzioni, nuovi metodi di pensiero e di relazione. Si ha bisogno di un movimento culturale che riconquisti i cittadini definendo ciò che è importante oggi. Un nuovo illuminismo o nuovo empirismo, un pensiero nuovo adatto alle nuove sfide che tecnologie, scienza e evoluzioni sociali stanno ponendo all’uomo.
Ovviamente, a questo quadro così complesso non si può opporre una soluzione. Si tratta di mettere in moto, su più livelli e dimensioni, vari processi. Occorre contribuire e favorire un cambiamento culturale profondo, un processo lento che non nasce certo oggi e non avrà fine a breve, ma è in atto già da decenni e che sta espandendosi in molte parti della società occidentale.
Questo cambiamento culturale è variegato e composito, fatto di tantissime esperienze, ben visibili. Voglio sottolineare solo due tendenze che ritengo fondamentali per affrontare quanto sta accadendo.
La prima è l’emersione di un pensiero sistemico, globale, olistico, che consideri le relazioni e gli scambi come elementi centrali della vita e dell’uomo. Leggere il nostro mondo, per comprenderlo e potervi agire in modo sempre più efficace, come una sola unità, un solo organismo, dove tutto è connesso, sia a livello biologico che antropologico, di cui l’essere umano è parte, unita e diversa a sua volta. Avere quindi una visione globale che superi una visione particolare, limitata ad una parte. Si superino le contrapposizioni degli interessi singoli perché a brevissimo termine e si affrontino quelli a medio e lungo termine: il riscaldamento globale, la sovrappopolazione, la fame, l’impoverimento delle risorse come l’acqua, la necessità di trovare risorse alternative, la gestione dell’economia a livello mondiale…
La seconda, è l’importanza che sempre viene data al bene comune, alla cooperazione, alla collaborazione. Una visione d’insieme deve tradursi in una prassi comune e svolta insieme. Un primo passo in questa direzione è cominciare a lavorare su ciò che ci accomuna, diventare consapevoli di ciò che ci accomuna. Facendo uno sforzo di memoria selettiva e lasciando andare, dimenticando proprio, tutto ciò che è stato e che continua ad impedirci di andare avanti. Guardare al progetto futuro di far crescere questo paese, di diventare padroni in casa nostra, di poter essere fieri di noi stessi finalmente senza attendere le minacce di qualcuno per poterlo fare.
Di entrambe queste due tendenze si hanno tantissime esperienze, strutturate o meno. Esse segnalano un movimento in crescita di consapevolezza dell’importanza della dimensione olistica e collaborativa.
Per questo il dato decisivo, all’interno di questo specifico contesto, è migliorare le persone e con esse la loro capacità di collaborare.
Sviluppare se stessi, evolvere, crescere (qualsiasi significato o limite si dia a queste parole) è uno dei passaggi chiave del nostro futuro. E’ il nostro nuovo progresso, personale e collettivo ad un tempo. La nuova frontiera. Ed è indispensabile se si vuole collaborare.
Collaborare non è qualcosa che si esplica così, senza formazione, senza pensare, senza volere. Pur profondamente radicato in noi, profondamente naturale, esso è come la facoltà linguistica che se non dovutamente appresa ed esercitata non si acquisisce in modo naturale. Si è predisposti, ma non naturalmente capaci. Occorre così imparare a collaborare.
Sviluppo personale e apertura alla collaborazione sono i due punti nevralgici da cui ripartire per contribuire al cambiamento culturale in atto.