Chi siamo e su cosa dovremmo puntare (tra le altre cose)
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15 Settembre 2015
Mi capita, a volte, di dover spiegare l’Italia e soprattutto gli italiani e il loro comportamento. Dall’esterno, i miei amici stranieri fanno fatica a comprendere, restano perplessi, quando non stupiti – a volte piacevolmente, altre meno. Gli italiani sembrano di difficile categorizzazione: troppo disomogenei, variegati, contraddittori, paradossali.
Provo a stendere qui brevemente una sintesi di quanto emerge sull’identità degli italiani dal bel libro, Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta, a cura di Giulia Cogoli e Vittorio Meloni, Intesa San Paolo, 2011. Un libro che mi ha aiutato molto a comprendere meglio chi siamo. Lo riporterò in modo schematico e sintetico.
Da sempre, abbiamo una identità molteplice. Siamo una società composta da un insieme di minoranze mobili, di localismi particolari. Siamo un insieme di società senza Stato, siamo molto collegati alla nostra città, ma non alla nostra nazione, se non in particolari condizioni. Siamo fatti di città che hanno troppa storia per essere riassunte in una unica storia nazionale. Per questo siamo italiani e… genovesi, romani, milanesi… Siamo un popolo di …. e italiani.
Al centro della nostra identità ci sono alcune caratteristiche ataviche: la famiglia, l’arte, la creatività, l’essere cattolici. Questi tratti definiscono, ognuno, parti del nostro carattere.
La famiglia è il nostro orizzonte di azione, il nostro universo in cui viviamo, cresciamo, impariamo e pensiamo. Non c’è orizzonte più vasto, se non la rete di ciò che ci sta attorno.
L’arte, presente ovunque, ha sviluppato in alcuni sensibilità non comuni, espressione di secoli di frequentazione di capolavori assoluti.
La creatività ci rende estremamente imprevedibili e capaci di adattarci a qualsiasi condizione. Ne facciamo un vanto quando siamo fieri della nostra arte di arrangiarci, ma è anche un nostro limite perché nell’arrangiarci non c’è né programmazione né organizzazione. Questo è un punto dolente, purtroppo diffuso: per gli italiani essere creativi significa risolvere il problema, ma a brevissimo termine, senza capacità di visione o di costruzione. Siamo industriosi e siamo in grado di costruire reti solidali, ma a fronte di questo vi è anche un ragionare a breve, una facile disponibilità ai compromessi, permettendo una vita relativamente facile ai più forti, ai potenti e, in fondo, ai prepotenti.
L’essere cattolici implica una cultura dove predomina la delega dei nostri peccati a qualcun altro, la difficoltà ad assumerci responsabilità, scarsa autostima, assoluzione facile, grande generosità, una religiosità istintiva e diffidente che ci tiene lontani dalla conoscenza scientifica e da una visione positiva della Vita.
Abbiamo d’istinto una scarsa fiducia nelle istituzioni, non riusciamo ad identificarci con esse, generando così un rapporto malato con lo Stato: siamo antagonisti o sottomessi. E questo rapporto malato ha dato luogo a tutti quei comportamenti incivili che attraversano la nostra società e la spaccano tra chi conserva un certo rigore morale verso la cosa pubblica e chi non ce l’ha.
Questo dovuto anche ad un decollo tardo e limitato del capitalismo e la sua etica, che in Italia non ha mai attecchito anche se abbiamo contribuito ad inventarlo.
Siamo industriosi, indefessi lavoratori, anche se molti solo quando vogliono o devono. Abbiamo una certa ritrosia verso il pensiero e le attitudini riflessive. Amiamo il fare, anche se poi non siamo in grado di raccoglierne tutti i frutti, comprenderne la portata, o gestire la ricchezza che ne deriva, perché non abbiamo abbastanza cultura generalizzata, informazioni, conoscenze (vedi sopra).
La storia italiana è piena di invenzioni che hanno cambiato il mondo, ma non lei stessa, il nostro vissuto. Noi continuiamo ad essere rinascimentali: esprimiamo punte di eccellenza di tutti i tipi, ma restiamo frammentati, isolati, spaccati politicamente, in gran parte ignoranti.
La frammentarietà, sociale, antropologica, politica e culturale, è un tratto potente della nostra condizione di italiani. Ci sentiamo uniti dalla nostra capacità di fare, inventare e reagire alle difficoltà. Ma da soli. Ciascuno per proprio conto. O, meglio, insieme ai loro familiari, al loro piccolo mondo locale.
Gli italiani si sentono italiani quando la loro identità o unità è fortemente minacciata. Tuttavia, normalmente, il sentimento di unione non emerge e siamo tutti impegnati nella messa in evidenza di differenze e diversità, alimentando conflitti e distanze.
Nonostante tutto, nonostante se stessa, l’Italia c’è quando serve, tiene nei momenti difficili, perché è capace di adattarsi come pochi altri e ha una fiducia nelle proprie capacità che emerge solo se sottoposta a forte pressione, non prima.
Noi alle situazioni terribili ci adattiamo, ma questo significa che non siamo orientati a cambiarle. Cambiamo, ovviamente, ma senza volerlo veramente. Nel tempo gli italiani sono cambiati e cambiano, ma in generale non dirigono consapevolmente i processi di cambiamento, li subiscono. In breve, diventiamo diversi senza rendercene veramente conto. E’ il nostro abituale navigare a vista.
Siamo una democrazia incompiuta perché le varie parti sociali che compongono la nostra società o non hanno coscienza di sé o non hanno la capacità di farsi valere. In assenza di uno Stato, di una giustizia efficiente, di un sistema politico in grado di rappresentare veramente il paese, gli italiani hanno sempre privilegiato la famiglia, le conoscenze, come sistema di evoluzione, sviluppo, organizzazione, sussistenza. E per questo hanno generato uno Stato inefficiente, tollerano una giustizia ingiusta, una classe politica corrotta (considerata sostanzialmente inutile quando non dannosa).
Alla fine? Alla fine siamo qui, ancora qui, carichi del nostro passato, invecchiati, disillusi, ironici, incapaci di prenderci sul serio, sornioni, con un’enorme necessità di investire in scuole, cultura, conoscenza, con una estrema necessità d’imparare a dialogare, stare insieme, rispettarci, ma, finché ci siamo, indispensabili a tutti.