Guardare le teorie, non le persone
22 Ottobre 2016Semplificazioni
24 Novembre 2016
Recensione del libro Jader Tolja, Tere Puig, Essere corpo. Come ripensare lavoro, educazione, sport, architettura, design, moda, salute e spiritualità da una prospettiva corporea, TEA 2016. (Disponibile anche in ebook)
Esce in questi giorni il nuovo libro scritto dal dott. Jader Tolja, questa volta insieme con Tere Puig. Si tratta di un libro estremamente interessante che raccomando vivamente. Un libro misurato, chiaro, orientato al rispetto delle persone, dei loro diversi contributi, ma anche alla demistificazione delle mode e degli attaccamenti a qualche idea in se stessa. Apprezzo molto il taglio realista, lucido, profondo che attraversa tutto il libro. Inoltre, è essenziale e semplice. Si legge con estrema facilità.
Il tema generale è come reintrodurre il corpo, quello vero, nella nostra vita. Il corpo con cui normalmente abbiamo a che fare è mediato dalla mente, è un corpo astratto. Il corpo è un grande “estraneo”. Nel libro vengono rivisti molti aspetti della nostra vita a partire da una esperienza del corpo e non da una idea del corpo. Come scrivono gli autori: “A progettare la nostra esistenza infatti non è stato il nostro corpo, ma la nostra mente che, essendo cosciente soltanto di un duemilionesimo delle informazioni di cui dispone il sistema nervoso che l’ha generata, si basa su rassicuranti astrazioni mentali: semplici, plausibili ed errate.”
Lo strumento per arrivare a riprendersi il corpo è l’anatomia esperienziale. “L’anatomia esperienziale è basata sull’esperienza e l’affinamento della percezione, perciò permette un’organizzazione più naturale del movimento”. La propriocezione è la forma di percezione più importante. Essere a contatto con se stessi. Ascoltare il proprio corpo, percepirlo, osservarlo… “Ogni volta che neghiamo ciò che sentiamo dentro perdiamo un po’ della nostra libertà” Fritz Perls oppure “Prendete sul serio il vostro piacere” Charles Eames, sono alcune delle tante citazioni che confortano la tesi del libro.
Il testo è pieno di spunti interessanti, semplici da cogliere e utili a tutti. Eccone solo alcuni che ho particolarmente apprezzato e giusto per far venire voglia di approfondire.
Non avendo radicamento nella realtà e nel corpo, una cosa finta e una reale diventano equivalenti.
Esiste la credenza che la tristezza sia negativa, che diminuisca le nostre difese, invece la differenza non è tra gioia e tristezza, ma tra sentire e non sentire.
Al di là del possibile aiuto che può venire dal considerare le diverse scelte a disposizione, quello che si può fare è distinguere meglio le metafore all’interno delle quali ci muoviamo e contribuire ad elaborarne di nuove. Allora è sufficiente cambiare metafora per cambiare la propria situazione? Un po’ sì, un po’ no. Sì, perché quando cambia la metafora che struttura la nostra realtà, cambia anche il nostro modo di agire, cambia ciò che sincronicamente ci succede, che riflette le nostre aspettative inconsce e se ne infischia di quelle consce. No, perché non sempre cambiare metafora è un “clic” immediato, una sorta di illuminazione irreversibile: spesso è un processo di trasformazione lungo e progressivo, in cui ogni volta che ci rendiamo conto della metafora in cui ci stiamo muovendo, dei suoi limiti e delle sue alternative, è come se piantassimo un albero nella foresta del cambiamento.
La maggior parte delle persone passa nel proprio posto di lavoro almeno la metà del proprio tempo di veglia: ci si può permettere il lusso di lasciare in apnea per un periodo così lungo tutti gli aspetti che ci rendono umani, come l’emotività, il senso di appartenenza, il bisogno di significato, il bisogno di crescita e così via?
Più le persone percepiscono di andare bene come sono e più si permetteranno di essere autentiche. Più saranno autentiche, meglio funzioneranno tutti i processi e quindi sempre più energie si sposteranno dalla rappresentazione di sé alla risoluzione dei problemi, all’elaborazione di strategie e alla realizzazione delle stesse.
Cambiare non significa calarsi a forza in uno stile non sentito. Significa lasciare che avvenga una lenta, graduale e spontanea trasformazione del gusto. Esattamente come oggi non apprezziamo più le caramelle colorate artificialmente e il pane sbiancato che ci piacevano invece da bambini.
Il testo di Tolja e Puig apre ad una visione nuova del corpo e della persona, delle relazioni e degli oggetti che ci circondano (da come dovrebbero essere le scarpe a come insegnare o gestire un’azienda). Esso ci permette di avvicinarci a noi stessi e al mondo secondo una saggezza ad un tempo antichissima e nuovissima, quella di un corpo finalmente preso sul serio.
Rimando per approfondimenti anche al sito Pensare col corpo